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Dall’idea alla scrivania di un ente finanziatore: perché saper tradurre il proprio modello di business nel linguaggio della progettazione è oggi una competenza imprenditoriale a tutti gli effetti.
Ogni impresa nasce da un’intuizione, ma per trasformarla in qualcosa di concreto bisogna saperla raccontare nel modo giusto, a seconda dell’interlocutore. Il pitch serve a catturare l’attenzione: è rapido, evocativo, pensato per generare interesse in pochi minuti. Il business plan entra nel merito: numeri, scenari, piani operativi e obiettivi misurabili. Il progetto finanziato, invece, è un linguaggio ancora diverso – più rigido, ma non per questo meno strategico. Deve rispondere a regole precise, mostrare coerenza tra obiettivi e attività, giustificare ogni spesa in funzione di un risultato atteso.
Il problema è che molte startup e PMI si fermano al primo o al secondo livello, e affrontano la progettazione per bandi come un esercizio burocratico, replicando ciò che hanno già scritto altrove. Ma i tre linguaggi – pitch, piano e progetto – non sono intercambiabili. Vanno costruiti con cura, facendo sì che si parlino tra loro, ma con consapevolezza delle differenze. Solo chi riesce a tradurre la propria idea d’impresa in questi tre registri – mantenendo coerenza ma adattando tono, struttura e finalità – può davvero farla crescere e portarla dove conta: sul mercato, magari passando per la fase di un finanziamento approvato.
Chi valuta un progetto da finanziare non cerca solo una buona idea, ma una proposta strutturata, credibile, realizzabile. L’entusiasmo non basta: serve dimostrare che si conosce il contesto di riferimento, che si hanno le competenze e le risorse per portare a termine le attività, e che ogni fase è stata pensata in modo coerente. Questo significa, ad esempio, che a un obiettivo specifico devono corrispondere attività concrete, tempi realistici, un budget ben calibrato e indicatori misurabili. Tutto deve “tornare”, perché la coerenza interna è la prima forma di credibilità.
Un errore comune è quello di presentare progetti disallineati: grandi ambizioni strategiche con azioni operative deboli, richieste economiche importanti senza un dettaglio dei costi, impatti attesi vaghi e non collegati alle attività previste. Chi scrive un progetto deve quindi saper smontare il proprio modello di business per poi ricostruirlo secondo la logica del bando: ogni spesa deve essere giustificata da un’attività, ogni attività deve contribuire a un obiettivo, ogni obiettivo deve rispondere a una priorità del bando stesso.
Farlo bene significa mostrare padronanza della propria idea, ma anche preparazione sul settore e sulle sue dinamiche. È questo che convince un valutatore: non tanto la promessa, quanto la solidità con cui si dimostra di poterla mantenere.
Un errore frequente nella scrittura dei progetti finanziati è partire da ciò che si ha – un team, una tecnologia, un’idea – e cercare di farla rientrare forzatamente nelle griglie del bando. L’approccio della progettazione a ritroso, invece, parte dalla fine: dagli obiettivi e dagli impatti attesi, e lavora a ritroso per costruire attività, risorse e budget coerenti. È un metodo semplice, ma potentissimo per evitare incoerenze e dispersioni.
Facciamo un esempio concreto: uno degli obiettivi del progetto è testare un prototipo di servizio innovativo digitale. Progettare a ritroso significa chiedersi innanzitutto: cosa serve per poter fare davvero quel test? Serve avere un prototipo funzionante. Per avere un prototipo, bisogna progettarlo e svilupparlo. Questo comporta l’impegno di risorse – magari un team tecnico, un designer UX, uno sviluppatore – su un certo numero di ore. A quel punto si stima il costo di queste risorse, si calcolano eventuali fornitori esterni, licenze software, strumenti, e si costruisce il budget. Solo così il progetto diventa un insieme coerente in cui ogni voce ha una motivazione chiara e tracciabile.
Saper progettare a ritroso significa avere il controllo del processo, non subirlo. Significa costruire un’idea che regge non solo in fase di valutazione, ma anche quando il progetto prende vita e va gestito giorno per giorno. È una competenza che richiede visione strategica, attenzione al dettaglio e consapevolezza delle proprie risorse. Non basta avere una buona intuizione: bisogna dimostrare di saperla portare fino in fondo, con metodo, coerenza e concretezza. In un contesto in cui la competizione per i finanziamenti è alta, è proprio questa capacità a fare la differenza.
Valentina Bellotti,
COO Cerbero Srl